La routine educativa

28 Maggio 2021 
Rossella Attivissimo - PedagoVita - Saronno

 

Con il termine “routine” si intende l’insieme delle azioni che avvengono nella nostra quotidianità mediante una successione temporale.

Sono vere e proprie abitudini che si acquisiscono nel corso del tempo per mezzo della pratica.

Nel mondo dell’educazione, però, risulta prioritario non soffermarsi unicamente al principio di consuetudine, perché non è solo la ripetizione costante di un comportamento a generare abitudini, bensì la capacità di proporre o saper integrare una o più azioni nell’arco di una giornata.

Più precisamente, è importante creare dei riti che accompagnino il bambino affinchè quest’ultimo impari ad utilizzare in maniera sempre più autonoma strumenti o strategie che si mostreranno utili anche in contesti differenti (casa, asilo nido, scuola).

Al momento della preparazione della nanna, ad esempio, può essere utile la lettura di un libro, oppure coccolarlo prima di metterlo a letto, indicatori che è tempo di andare a dormire. Nulla vieta, tuttavia, di introdurre elementi di novità, cioè la possibilità di fare il bagnetto prima delle coccole o viceversa. 

 

LA ROUTINE NEI BAMBINI

Una routine per essere efficace non deve essere esorbitante, ma regolare.

Per i più piccoli, avere una routine regolare, significa avere a disposizione dei punti di riferimento spazio-temporali, in grado di rendere l’ambiente più comprensibile.

Instaurare delle pratiche quotidiane permette di comprendere cosa è accaduto e cosa sta per accadere nei vari momenti della giornata, assumendo un maggior controllo sulla realtà circostante e alleviando eccessive preoccupazioni per non sapere che cosa accadrà.

I bambini, mediante l’immaginazione, protendono il loro sguardo verso il futuro, riflettendo su ciò che si è appena verificato.

In tal senso, la costruzione di uno schema giornaliero dovrebbe denotare quelle che sono le priorità e, al contempo, garantire margini di flessibilità in modo tale che imparino a gestire piccoli cambiamenti e al fine di evitare automatismi, che non permettono di interiorizzare abitudini.

 

COME COSTRUIRE UNA ROUTINE?

È indispensabile che l’adulto di riferimento non metta fretta ai bambini nel portare a termine le proprie attività, poiché ognuno di noi possiede un proprio ritmo nell’agire che necessita di essere rispettato.

La routine educativa va proposta in maniera dettagliata e ludica, in quanto i bambini divertendosi accettano con più facilità i ritmi da voi definiti.

E’ bene ricordare che gli impegni cambieranno con le vostre esigenze familiari, quindi ogni routine andrà sempre ridefinita e calibrata.

Inoltre, è fondamentale coinvolgere i bambini sin dall’inizio nel costruire la propria routine giornaliera attraverso albi illustrati, tabelle, pannelli, tessere e orologi. Oltre a riportare gli orari stabili e i giorni della settimana, ciò che consiglio sempre alle famiglie è l’utilizzo di fotografie personali ed immagini chiare che rispecchino le peculiari azioni di vita quotidiana per poter sviluppare una maggior consapevolezza su ciò che si andrà a compiere attraverso costanti e certezze.

Le tessere da voi create si possono stampare, incollare e attaccare sul pannello che deciderete di utilizzare (in plastica, in cartoncino, in velcro o magnetico…) con la possibilità di adoperarle per creare nuovi giochi (memory, caccia al tesoro, indovinelli…). 

E ora non vi resta che ideare la vostra routine!

Spero che questo articolo vi sia stato utile, per ulteriori informazioni non esitate a contattarmi!

 

 

 






Il conflitto dopo la separazione

15 Marzo 2021 
Rossella Attivissimo - PedagoVita - Saronno

I motivi che conducono ad una separazione coniugale possono essere molteplici e connotati da un elevato grado di conflittualità, non necessariamente visibile. 

Eppure il conflitto, in alcuni casi, non si esaurisce con il distacco legale ed affettivo con il coniuge, ma sussiste, alimentandosi a dismisura con il rischio di coinvolgere anche i propri figli

Un genitore può divenire il responsabile della trappola mentale nella quale possono cadervi i figli, in primo luogo, quando decide di parlare male o sminuire l’altro genitore in presenza di quest’ultimi. 

Tale condotta, oltre a comportare conseguenze legali, crea delle ripercussioni sulla salute mentale dei figli, i quali potrebbero rappresentarsi un’immagine distorta dell’altra figura genitoriale al punto di ripudiarla. 

Un figlio dovrebbe essere sempre protetto e mai conteso: non è una bandiera da conquistare, ma una persona da amare malgrado tutto e tutti! 

Nei casi più estremi, l’alienazione contro un genitore, la cosiddetta “PAS” (sindrome da alienazione parentale), scoperta dal dottor Richard A. Gardner nel 1985, indica un fallimento nello sviluppo educativo, in quanto si parla di una vera e proprio violenza emotiva in grado di produrre evidenti psicopatologie nella vita dei bambini coinvolti. 

Una ricerca qualitativa statunitense del 2005 (The American Journal of Family Therapy, Vol. 33, Issue 4) condotta su 38 adulti che nella loro infanzia hanno subito l’alienazione genitoriale, ha rilevato effetti a lungo termine in 7 aree principali di impatto: bassa autostima; depressione; abuso di alcool e droghe; mancanza di fiducia; venir alienati dai propri figli; divorzio e incapacità di formare relazioni sane. 

Se a tutto ciò si unisce il sentimento di colpa che attanaglia i figli quando i genitori si separano, il livello della loro sofferenza risulta insormontabile, in quanto soggetti con identità e personalità in continuo divenire

I bambini vittime di questo meccanismo controverso tendono a distorcere la propria realtà famigliare e a negare alcune emozioni al punto di percepire affetti un bel po’ contrastanti

La causa di tutto questo è frutto di una genitorialità patogena che deve essere riconosciuta sin da subito dai professionisti in ambito clinico e giuridico per salvaguardare la vita di un bambino. 

Il processo di riunificazione con il genitore alienante è possibile, seppur graduale, ma solo in seguito ad un recupero nella relazione tra il figlio ed il genitore rifiutato mediante un percorso psicoeducativo. 

Nei casi in cui, invece, non siano presenti patologie mentali adulte in situazioni di separazione, è prima di tutto importante favorire il dialogo tra i genitori per permettere adattamenti emotivi e cognitivi rispetto all’evento critico. 

La figura del mediatore familiare può essere utile nel facilitare la comunicazione nelle coppie e nel riorganizzare le relazioni familiari attraverso un percorso totalmente volontario al fine di elaborare un programma che sia soddisfacente per tutti.






Apprendimento analogico

6 Febbraio 2021 
Rossella Attivissimo - PedagoVita - Saronno


I bambini giungono alla scuola primaria con molto entusiasmo, seppur ogni tanto possano perdersi, in quanto la nostra didattica il più delle volte tende ad avere un approccio concettuale.

La matematica, in particolare, nel corso degli anni accademici si riempie di formule, regole e cifre.

Ma la concettualità non fa altro che creare un mondo senza forma, asettico e spoglio.

Se considerassimo gli algoritmi non solo come una successione di istruzioni, bensì come un insieme di strumenti da manovrare e utilizzare, allora tutto sarebbe più piacevole!

È più gradevole vedere un numero anziché interpretarlo e le mani ne sono l’esempio per eccellenza.

Esse ci consentono a colpo d’occhio di riconoscere i numeri e il verso della numerazione mediante l’intuizione, poiché fungono da computer visivo per la nostra mente.

Il linguaggio della matematica è dentro di noi e più che di “metodo” necessiterebbe di un “modo normale e straordinario di apprendere dalla vita”, come afferma il maestro Camillo Bortolato.

Egli è il pioniere del metodo analogico, ovvero quel modo consueto di vedere e capire le cose che ci circondano: numeri, lettere, parole, simboli, segni, ecc… 

Il modo più naturale di apprendere avviene per metafore e analogie, poiché "prima vedo e poi rifletto".

Per comprendere meglio tale concetto, proviamo a pensare alla grande abilità con la quale i bambini utilizzano il computer, talvolta ancor meglio degli adulti, senza che nessuno glielo insegni!

Non si tratta di logica, ma di pensiero analogico, basato sul riconoscimento di somiglianze tra situazioni e oggetti in grado di risolvere problemi complessi e inattesi attraverso l’immaginazione e la creatività.

Chi l’ha detto che per comprendere la matematica ci si avvale prevalentemente dell’emisfero sinistro?

Le neuroscienze cognitive, ormai, ci dicono che il bambino, proprio come uno scienziato, esplora la realtà formulando vere e proprie ipotesi soggette ad aggiustamenti successivi.






Genitori geniali

4 Gennaio 2021 
Rossella Attivissimo - PedagoVita - Saronno


Genitore ha la medesima origine etimologica di “genialità”, poiché in latino “gignere” significa generare.
Mi piace pensare che un genitore rappresenti la genialità di un inventore non solo in termini di filiazione, ma di scoperta prima di tutto di se stesso.
Non esistono ricette per divenire genitori, bensì ingredienti per genitori insufficientemente buoni, anche se Winnicott non sarebbe così d’accordo… 
Tuttavia, nel corso della mia esperienza prima da educanda e poi da educatrice, ho compreso che genitori efficaci sono coloro che rifuggono da saperi predefiniti e si mettono in gioco quotidianamente!

 

Di seguito riporto i miei “ingredienti”:

 

- Prima di dare delle regole a tuo figlio, cerca di individuare le sue caratteristiche reali, al di là delle tue aspettative e rappresentazioni ideali;

- costruisci una salda relazione perché l’educazione non avviene al di fuori di essa;

- se tu sei felice, anche tuo figlio lo sarà altrettanto, malgrado le avversità della vita (non tutto può andare come vorremmo);

- rispetta il suo parere, offrendogli nuove visioni e prospettive;

- permettiti di sbagliare. Perdonati. Solo così tuo figlio interiorizzerà al meglio il noto proverbio: “sbagliando s’impara”.

 

Prendi il timone di te stesso e mi raccomando: non prendere alla lettera tali ingredienti, ma fanne un buon uso per rendere unico il tuo piatto da gustare in famiglia!




Nativi digitali: come affrontare i rischi del sexting

16 Novembre 2020 
Rossella Attivissimo - PedagoVita - Saronno


Il termine “Sexting” è stato coniato per la prima volta nel 2005 in un articolo di un quotidiano australiano, che ha voluto mettere in rilievo un fenomeno molto diffuso tra i giovani.

Tale fenomeno fa riferimento all’atto di condividere in rete immagini o video a contenuto sessuale per gioco o per vendetta.

La dimensione ludica in età adolescenziale è caratterizzata da un grande senso di radicamento e appartenenza ad un gruppo in cui rispecchiarsi e da cui ricevere riconoscimento.

Tuttavia, il desiderio di visibilità può divenire così incisivo tra i giovani da generare in quest’ultimi comportamenti sociali provocatori e rischiosi, come ad esempio il condividere foto altrui osè sui social network senza acquisire alcun tipo di consenso.

Qui entrano in gioco sia i legami che si instaurano con altre persone e sia la concezione di immagine corporea, in quanto l’adolescente si ritrova ad abitare in un corpo nuovo e inedito, che spesso e volentieri non solo non viene accettato, ma neppure ascoltato. 

Per sopperire a ciò sarebbe utile, sin dalla più tenera età, educare i bambini all’ascolto dei messaggi corporei al fine di imparare a percepirsi anche dall’interno attraverso i propri respiri e le proprie sensazioni.

A fronte di ciò è consuetudine suddividere i ragazzi in due categorie: artefici e vittime, anche se personalmente riterrei più opportuno denominarli “protagonisti” di uno scenario per lo più esposto a fragilità educative, oltre che ai pericoli della rete.

La società in cui viviamo presenta più modelli educativi virtuali che reali, quindi non risulterebbero, probabilmente, tutti vittime carenti di dialogo, empatia e ascolto?

Le prime forme di socializzazione avvengono in famiglia per poi rafforzarsi in ambiente scolastico, nel mondo dei media e all’interno del gruppo dei pari.

Se i giovani acquisiscono l’abitudine di discorrere con gli adulti, ne consegue che la sessualità non viene minimizzata a contenuti, bensì caratterizzata da molteplici consapevolezze.

L’apertura al dialogo e all’ascolto attivo curano ferite del corpo e della mente.



Gli occhi sono lo specchio dell'anima

16 Settembre 2020 
Rossella Attivissimo - PedagoVita - Saronno


Un antico proverbio italiano ci ricorda che gli occhi rappresentano il nostro io più profondo, la nostra parte più intima.
Studi scientifici hanno dimostrato che la struttura dell'occhio coincide con lo sviluppo della personalità di ognuno.
Tuttavia, anche la direzione dell'atto visivo risulta molto importante, poichè il cosiddetto "sguardo" attira l'attenzione altrui, veicola intenzioni ed emozioni.
Ciò facilita la cooperazione e la comunicazione tra di noi.
A tal proposito può essere utile pensare a tutte quelle volte che vediamo un nostro caro con il volto imbronciato. Prima ancora di parlare vi ha già detto che qualcosa non va perchè le sopracciglia sono aggrottate e le pieghe della fronte infinite!!
In questo caso si parla di mimica facciale, impossibile da controllare in maniera spontanea, in quanto non si può non comunicare attraverso il nostro corpo.
Sin dalla nascita prevale l'importanza del contatto visivo con gli adulti di riferimento, fondamentale per la costruzione sia della propria identità che dell'autostima futura.
Nell'epoca del Covid-19 l'utilizzo di mascherine e visiere, sebbene abbiano reso tutto più difficoltoso, al tempo stesso si stanno rilevando veri e propri attivatori di consapevolezza che lo sguardo valga più di mille parole.
Ogni giorno ricerchiamo sempre più frequentemente gli sguardi degli altri e, probabilmente, non ci siamo mai scrutati così intensamente.
Siamo più attenti, seppur spaventati;
siamo più sensibili, seppur pensierosi;
siamo più resistenti; seppur vulnerabili.
Per quanto concerne la sensibilità, i bambini ci battono e gli adolescenti ci superano.
A scuola, durante le ore di supporto educativo, mentre indosso mascherina e visiera, gli alunni hanno il potere di farmi sentire a mio agio con una battuta di spirito e basta un solo sguardo per capire e capirsi.
Alt! Non che prima non fosse così, non che adesso sia meglio di allora, ma è bene ricordare che l'esperienza non è che uno spiraglio dal quale si apprende e si cambia.
Nelle situazioni di emergenza (e chi l'avrebbe mai voluta!) ci si focalizza su ciò che conta davvero, lasciando andare ciò che è futile.
In questo momento, ciò che conta, è che le nuove generazioni percepiscano un impegno serio e civico da parte di noi adulti affinchè imparino a gestire al meglio la complessità degli eventi futuri.
Solo un atteggiamento di fiducia orientato alla cooperazione genererà effetti benefici all'intera società.
Quindi, cosa conta di più?
Vivere nel qui ed ora, guardarsi negli occhi il più possibile, comprendersi e sostenersi.



Avviciniamoci alla Didattica e apriamoci al cambiamento!

8 Settembre 2020 
Rossella Attivissimo - PedagoVita - Saronno

La didattica a distanza è stata una soluzione di emergenza, ma se consideriamo la parte della pedagogia che ha per oggetto l’insegnamento e i relativi metodi, tale scienza non va considerata una soluzione “tampone”, bensì una pratica educativa che indirizza persone e comunità verso la ricerca di nuovi progetti ed equilibri.
In tal senso, la didattica a distanza o in presenza non si può ridurre a video-lezioni (o lezioni frontali), innumerevoli schede da stampare e a strumenti digitali innovativi. L’educazione è fatta di corpi, sguardi e connessioni ed è su quest’ultimo punto che mi vorrei soffermare.
Nell’era digitale non possiamo ritenerci connessi solo attraverso reti Wi-Fi se si vogliono preservare i legami sociali: non è forse questo che vorremmo trasmettere alle nuove generazioni?
Se la risposta è sì, allora sia la scuola che la famiglia non possono sottovalutare due aspetti fondamentali quali l’ascolto e il dialogo per far sì che si creino sinergie tra tutti gli attori implicati nel processo educativo (docenti, famiglie, studenti e servizi socio-assistenziali). La mission della scuola è porre attenzione ai bisogni di tutti, ma forse un po' per inesperienza e un po' per disinteresse la scuola non è riuscita ad essere pienamente inclusiva soprattutto per quelle famiglie che non hanno la possibilità di avere connessioni stabili o strumenti digitali. Nel mio piccolo, nel ruolo di educatrice scolastica e pedagogista, oltre ad effettuare video-lezioni improntate sull’aspetto ludico ed educativo, ho cercato di mediare e trasformare gli innumerevoli file didattici al fine di renderli leggibili sugli smartphone tramite whatsapp, spesso unica app installata sui cellulari della maggior parte delle famiglie. Inoltre, quando mi capitava di percepire le famiglie un po' distanti o in difficoltà, chiamavo di mia spontanea volontà i genitori (talvolta anche fuori dall’orario di servizio) per supportarli e rasserenarli sul fatto che le attività assegnate erano un modo per comunicare vicinanza e non esclusivamente per essere oggetto di valutazione.
In seguito a quelle telefonate e messaggi di incoraggiamento, posso testimoniare che le famiglie restituivano ciò che riuscivano a fare con piacere.
Tuttavia, per raggiungere tali obiettivi è stato utile il confronto in èquipe con i colleghi sia per migliorare le nostre competenze comunicative e sia per interrogarci su quali risorse possedesse ogni famiglia tra le mura domestiche al fine di concretizzare gli interventi, rendendoli utili.
E’ fondamentale conferire alle famiglie la libertà di scegliere come organizzare le proprie attività senza impartire obblighi, poiché se i compiti risultano troppo strutturati, rischiano di non produrre alcun tipo di apprendimento.
Finora nessuno era preparato a gestire un’emergenza imposta da una pandemia, ad oggi però, la sfida principale prevede un cambio di paradigma, non solo per far fronte al Covid-19, bensì per rendere l’insegnante un vero e proprio facilitatore della comunicazione, che aiuta il discente ad imparare in un percorso di autoformazione.
Un traguardo importante è avvenuto il 27 agosto 2020, in quanto è stato sottoscritto il protocollo d’Intesa dal Ministero dell’Istruzione con le associazioni pedagogiche, accademiche e scientifiche, il quale prevede che sia i pedagogisti e sia gli educatori socio-pedagogici possano promuovere l’educazione alla convivenza civile, sociale e solidale nel contesto scolastico, ponendo particolare attenzione alle aree fragili e di povertà educativa attraverso l’attivazione di progetti da inserire nell’offerta formativa.
Che dire... Un piccolo passo verso la strada dell’inclusione!